Mio padre era uno che per lavoro viaggiava molto e qualche volta mi è capitato di dover andare con lui. Sì, per dovere, mai per mia scelta. Il perché? Perché non ero uno stinco di santo, anzi, ero ribelle fino nel midollo, tant'è che il soprannome affibbiatomi era "sciagura" e portandomi con lui (secondo il suo pensiero, naturalmente) poteva essere un modo per farmi rinsavire.
Peccato però che questo ragionamento non sortisse mai l'effetto desiderato, ma l'esatto contrario. Perciò mi ritrovavo in una macchina con lui e davanti a me migliaia di chilometri da percorrere.
Fossero stati solo i chilometri da sopportare niente era, ma, io, lui e le sue interminabili paternali, erano davvero una rottura di palle colossale!
Avevo imparato, già a quel tempo, a sorridere e annuire e a chiudere i padiglioni auricolari, aprendoli solo ogni tanto per non cadere delle nuvole in caso di domanda improvvisa.
I viaggi erano lunghi, molto e si viaggiava in tutte le stagioni. Una delle poche cose che mi affascinavano di mio padre era la sua sicurezza al volante. Pioggia, neve, grandine, nebbia, nubi, sole, giorno e notte, lui era sempre nella corsia di sorpasso. E la cosa sorprendente è che io non avevo paura. Mai. Guidava benissimo ed era attentissimo. L'unico con cui in macchina riuscivo a dormire.
Ricordo uno di quei viaggi e ricordo che faceva davvero freddo. Ricordo la nebbia di quella notte. Così fitta e densa che la si poteva tagliare con il coltello. Non si vedeva nulla. Un muro bianco davanti alla macchina. Credo sia stata l'unica volta che ho avuto paura anche in macchina con mio padre, soprattutto perché lui la corsia di sorpasso non l'aveva mollata manco quella volta.
Guidava tranquillo come se fosse stata una bellissima giornata di sole, ma credo che in quel momento abbia percepito il mio disagio:
- Paura?
- Un po'...... (Mi stavo cagando sotto, ma dargliela del tutto vinta, no!)
- Sai una cosa? Un semplice trucco in casi di nebbia? Non distogliere mai gli occhi dalla riga bianca, o da quella centrale se a doppia carreggiata o da quelle laterali. Segui quella e non finirai mai fuori strada.
- Ah! Capito. (E ricordo che passai il resto del viaggio con gli occhi incollati su quella riga bianca)
Ma dato che un po' stronzetta lo ero già:
- Papà, ma se non ci fossero righe bianche?
- ..................... (Fulminata con lo sguardo)
Però la domanda era più che lecita, non sempre le strade hanno le righe.
Credo però che con quella frase non intendesse trasformarmi nel "Fangio delle autostrade" e che non si riferisse alla nebbia in per sé, piuttosto darmi una lezione, cercare di farmi percorrere strade di vita sicure, insomma, seguire la retta via per non cadere nel burrone.
Ma non sempre c'è una riga bianca ad indicarci la strada, spesso e volentieri le strade sono dissestate, piene di buche, asfaltate male, non indicate a dovere e la segnaletica a dir poco scadente. Quindi s'impara ad andare a cazzo, cercando in tutti i modi di non finire fuori strada o di non andare a sbattere contro il guardrail. Perché a volte può esserci un guardrail a contenerci, ma in altri casi, il burrone è a pochi istanti da noi. E alla fine, quella riga bianca può salvarci?
Non sempre si ha voglia di seguirla. A volte si decide di non guardarla, di far finta che non esista.
E succede che si permetta a quella nebbia così densa e fitta di avvolgere la tua anima, lasciando tutto il mondo e la luce fuori da noi stessi. E così solo un silenzio ovattato cade dentro, donandoci quella agognata e ricercata pace.
A volte si sceglie così, davvero a cazzo: gli occhi chiusi, buio e silenzio, in mezzo ad una strada avvolti dalla nebbia, immersi nella nebbia, e sì circondati da tante righe bianche, ma volutamente ignorate.
Anche in questo caso, caro papà, non sono (stata) in grado di seguire i tuoi consigli ed insegnamenti.
Fossi stato tu la mia riga bianca, ora il burrone non lo guarderei da basso...
Nessun commento:
Posta un commento